Nino Migliori, lei è sempre stato un interprete. Possiamo dire che le cose del mondo diventano fotografia quando incontrano la sua cultura, ciò che ha visto, ciò che ha letto, ciò che ha ascoltato?
Sì, è proprio così. Ognuno di noi interpreta la realtà attraverso la propria cultura che è, come spesso mi piace citare, ciò che rimane quando si è dimenticato tutto. Quando si fotografa si sceglie una porzione di mondo che già ci appartiene e che viene letta attraverso il filtro di ciò che ognuno di noi è. In altre parole si può dire che scattiamo una fotografia quando incontriamo e riconosciamo noi stessi.
L’interpretazione della realtà ha una vita più lunga, e forse una portata più universale, rispetto alla documentazione?
Non credo nella documentazione asettica e al di sopra delle parti. È sempre una lettura personale, è una rappresentazione e come tale risente di chi ha impostato la scena. È una querelle decennale che si accend...