mattia insolera fotografo ritratto

Mattia Insolera: lungo il Mediterraneo ho ricongiunto i punti della Storia

Mattia, in queste settimane stai lavorando al crowdfounding per il tuo libro Sixth Continent, un viaggio fotografico attraverso il Mediterraneo che ti ha impegnato sette anni. Come è iniziato questo viaggio?

Nel 2007 ero in Italia e durante un’estate in cui non avevo piani particolari mi sono unito ad un amico che voleva attraversare l’Oceano Atlantico in barca a vela. Durante quel viaggio stavo leggendo Breviario Mediterraneo di Predrag Matvejevic, il capolavoro sul Mediterraneo, che descrive un Mediterraneo come ponte tra culture, che parla una lingua comune dei porti. Così non ho oltrepassato le Colonne d’Ercole, dopo due settimane di barca a vela sono sceso a Gibilterra per iniziare il mio progetto fotografico. Ho trovato il mondo descritto da Matvejevic nella zona dello Stretto di Gibilterra, e lì ho iniziato a fotografare pensando ad un progetto che fosse l’equivalente fotografico di Breviario Mediterraneo.

Durante quel viaggio stavo leggendo Breviario Mediterraneo di Predrag Matvejevic, il capolavoro sul Mediterraneo, che descrive un Mediterraneo come ponte tra culture, che parla una lingua comune dei porti. Così non ho oltrepassato le Colonne d’Ercole.

Hai seguito la stessa struttura?

Sì. Come nel libro, si è trattato di costruire piccoli capitoli su aspetti della cultura mediterranea legati ad un luogo specifico. Inoltre, così come nel libro, ho costruito paralleli, ci sono ponti tra posti lontani geograficamente ma che alla base sono legati da aspetti culturali comuni.

Dopo Gibilterra, non sei tornato in Italia, ma ti sei trasferito a Barcelona. Era un buon posto per sviluppare il tuo progetto? 

Sì,  mi sono fermato a Barcelona. Il motivo è che volevo sviluppare questo progetto viaggiando in nave, e Barcelona è un buon punto d’appoggio, è collegata a tutto il Mediterraneo ed è una città mediterranea moderna ed efficiente.

Il crowdfounding su Indiegogo è destinato ad un libro, un contenitore con un inizio ed una fine. Perché lo trovi adatto a raccogliere il tuo lavoro, che in qualche modo evolve continuamente?

Il libro in un certo senso chiude il progetto ma inizia un viaggio suo. Si fa conoscere da un pubblico più ampio, viene presentato, se ne parla. Non volevo fare un’enciclopedia in continua evoluzione del Mediterraneo, ma volevo fare un viaggio nei vari tempi che esistono nel Mediterraneo e, dopo aver coperto tutti gli aspetti che mi interessavano, ho deciso che il progetto era completo.

Non volevo fare un’enciclopedia in continua evoluzione del Mediterraneo, ma volevo fare un viaggio nei vari tempi che esistono nel Mediterraneo e, dopo aver coperto tutti gli aspetti che mi interessavano, ho deciso che il progetto era completo.

Come è organizzato il libro?

Ho seguito un percorso attraverso Ferro, Terra, Legno e Pietra. È quindi un viaggio a ritroso nel tempo, dal ferro alla pietra.

Quante foto contiene?
102 fotografie.

Per fare un crowdfounding stai raccontando il progetto di persona, un’operazione di questo genere non si sviluppa solo sul web?

Presentare il progetto di persona serve ad espandere la platea. In Italia questa attività è ancora più necessaria perché non esiste una mentalità di mecenatismo diffuso. Negli Stati Uniti le persone vanno direttamente su Indiegogo a vedere se ci sono nuovi progetti interessanti.
Dal mio punto di vista è sempre più necessaria la presenza dell’autore e un fotografo, oggi, deve saper raccontare e trasmettere la propria storia. La presentazione che facciamo assomiglia ad uno spettacolo, io resto in piedi, leggo frammenti dei libri che mi hanno ispirato il viaggio e accanto ho un musicista che fa un tappeto sonoro. Il 12 gennaio presenterò il progetto allo Spazio ProspettivaOtto a Roma, il 15 gennaio all’Ostello Bello a Milano, il 16 gennaio allo Spazio Labò a Bologna.

Un progetto lungo sette anni. Hai cambiato spesso direzione?

Il focus del progetto è stato cercare persone che vivono il mare come superficie di trasporto, ambiente di lavoro, spazio di scambio e in generale terreno dove si gioca il proprio destino.  Questa era l’idea iniziale, aveva una dimensione geografica e antropologica. Poi, negli anni, si è aggiunta la dimensione temporale. Il viaggio geografico, che va da ovest a est, è diventato anche un viaggio verso il passato.

La Storia non procede da est a ovest?

In questi anni ho viaggiato nella parte ovest del Mediterraneo, poi nella parte centrale, infine in quella orientale, e mi è sembrato di tornare indietro nel tempo.  La teoria della Storia Universale dice che le religioni, le filosofie e i flussi migratori hanno proceduto da Oriente a Occidente, mentre io mi sono mosso al contrario, e lo spostamento geografico ha coinciso con un viaggio nella dimensione temporale.

Hai lavorato anche su cambiamenti più contingenti, sei tornato a vedere come era cambiato un luogo dopo averlo fotografato pochi anni prima?

Non sono mai tornato in un posto dopo qualche anno per vedere come è cambiata la situazione, non ho mai fatto questo lavoro di verifica. Ci sono tornato, ma per fare cose diverse. Nella prima parte del libro, sul Ferro, ci sono tracce di ciò che sta succedendo in questi anni. Poi c’è la parte sulle immigrazioni, nel capitolo Terra. Poi c’è la parte Legno, dedicata alle tradizioni marinare. Fino ad andare indietro, alla Pietra, in cui ho inserito storie di identità e religione legate alla materia.

In questi anni hai lavorato quasi esclusivamente sul progetto?

No, ho lavorato su altre cose ma non sono entrate nel libro. Nel 2011, con le Primavere Arabe, ho fatto lavori di taglio più editoriale, una serie di ritratti, che non facevano parte del progetto.

Come hai selezionato le foto che sono entrate nel libro?

Avevo uno spicchio d’azione molto stretto e ho mantenuto le foto in cui si sente sempre la presenza del mare, anche se non si vede il mare in tutte le fotografie. Volevo restare strettamente legato, anche geograficamente, alla costa. Un confine sono state le storie delle persone che vivono il mare come superficie di trasporto. Un altro è stata la costa. Inoltre, ho considerato mediterranea l’area in cui cresce l’ulivo. Ci sono zone mediterranee, come Venezia, la Croazia, la Slovenia, in cui non vedevo i segni tipici di questa cultura. Dall’ulivo, dalla vegetazione, dal clima, discende un carattere e un tratto antropologico comune. Questi sono stati quindi due limiti, uno geografico e uno di contenuto antropologico.

Un particolarità del Mediterraneo è che, quando vai in un luogo, non incontri per forza la popolazione di quel luogo. Il Mediterraneo è fatto di migrazioni, cambiamenti…

Esatto. Il Sesto Continente, il titolo del progetto, nasce infatti dall’ispirazione di uno scrittore turco conosciuto come il Pescatore di Alicarnasso, secondo cui il Mediterraneo era un continente non assimilabile a Europa, Asia e Africa. Un territorio con la capacità di assorbire persone provenienti dagli antipodi della Terra e di convertirle in mediterranee nell’arco di pochi anni. Questa è anche la mia visione del Mediterraneo. Non ho quindi dato mai importanza alle nazioni, tutto fa parte del Sesto Continente, e i mediterranei sono coloro che lo vivono.

Un territorio con la capacità di assorbire persone provenienti dagli antipodi della Terra e di convertirle in mediterranee nell’arco di pochi anni. Questa è anche la mia visione del Mediterraneo.

Pensi che questa sia una caratteristica unica del Mediterraneo?

Credo che sia stata una caratteristica unica del Mediterraneo, che poi è stata rovinata dai nazionalismi e dalle religioni monoteiste. Il Mediterraneo era così ai tempi dei Greci, dei Romani, dell’Impero Ottomano, quando non contavano le divisioni nazionali avvenute in seguito alla Rivoluzione Francese, divisioni che non hanno nulla di eterno e che probabilmente hanno dei limiti. La vocazione autentica del Mediterraneo è questa, quella di un territorio unico.

Nelle tue fotografie, per comunicare la Storia, passi attraverso un’estetica attuale, un utilizzo del colore, dei contrasti, delle lenti, che ti permettono di comunicare concetti antichi…

Spero di sì. Io lavoro in un modo lento. Non mi interessa un’immagine di grande impatto che non lascia il tempo di riflettere e fare collegamenti mentali, l’immagine che dice tutto. Preferisco le immagini che pongono domande e stimolano collegamenti mentali. Lavoro ad una certa distanza dal soggetto, uso diaframmi molto aperti, e cerco di creare un senso di scenario teatrale dipinto.

Un tempo il ruolo del fotografo era andare a visitare un luogo per mostrarlo a chi in quel luogo non era mai stato. Per cui venivano fotografate le Piramidi per mostrarle a chi non le avrebbe mai viste, mentre oggi tutti possono accedere alle Piramidi. Quale è il tuo ruolo quando fotografi?

Nell’arco di questi sette anni, sia vedendo la realtà sia leggendo libri, ho avuto l’impressione di ricongiungere i puntini della Storia, di rintracciare un filo storico. Per esempio, ho capito perché sullo Stretto di Messina e lungo le coste turche dell’Egeo fanno la pesca del pesce spada all’arpione, si tratta di un’influenza greca e fenicia. Oppure perché ad Alessandria d’Egitto costruiscono ancora oggi navi a mano seguendo schemi usati dai greci, perché lì c’era una colonia greca. O ancora, ho visto la Siria come culla della religione cristiana, e ho trovato in Libano una popolazione di etnia araba ma di religione cristiana. Spero che il mio libro aiuti le persone a capire chi siamo oggi, sulla base di questo percorso storico, questo filo rosso invisibile. Ho avuto il privilegio di ricostruire un percorso a ritroso nel tempo. Si parla molto di Mediterraneo come frontiera nord e sud del mondo, ma non ci fermiamo a pensare a capire quali sono state le contaminazioni per cui siamo arrivati a questo.

Per questo motivo il libro è un contenitore migliore rispetto ai giornali, dove viene dedicato meno spazio all’approfondimenti storico.

Infatti, quasi nessun giornale ha pubblicato le foto di questo progetto. Normalmente i giornali acquistano storie più legate alla contingenza, spesso più drammatiche.

Non sei documentarista e non sei fotogiornalista.

Non vorrei fare fotogiornalismo, vorrei fare fotostoria. Qualsiasi genere fotografico può avere un equivalente letterario. E inoltre è un insieme di discipline. Il miglior paragone è sempre il libro di Predrag Matvejevic che mi ha ispirato. Lui è uno storico quando fa ricerca, un filosofo quando si occupa di etimologia e di radici, e un poeta quando scrive.