Henryk Hetflaisz: in Homo Faber ho fotografato i co-creatori dell’arte
Henryk, vorrei chiederti del tuo progetto Homo Faber, fotografie che hai realizzato negli atelier degli artigiani di Pietrasanta, in Toscana. Quanti atelier hai fotografato e quanto tempo ti ha impegnato questo lavoro?
Ci sono più di quaranta laboratori a Pietrasanta, ne ho fotografati una dozzina in un periodo di sei mesi.
Pensi che Homo Faber possa essere considerato un reportage?
Nei testi antichi, Homo Faber era attribuito all’uomo del lavoro, in contrapposizione con l’uomo del gioco. Mentre nella letteratura latina, Homo Faber ha iniziato a riferirsi alla capacità dell’uomo di plasmare e modificare ciò che lo circonda. Nel XX secolo, Hannah Arendt ha poi usato queste parole per articolare un concetto filosofico intorno agli esseri umani che controllano l’ambiente che li circonda attraverso l’utilizzo di strumenti e utensili. Per me, questo progetto è la storia dei co-creatori del mondo dell’arte, persone non celebrate quanto gli artisti per cui realizzano le opere. È una storia di artigianalità e di ricerca della qualità. Si tratta di raccontare l’uomo e il suo rapporto con il lavoro e con la materia.
Questo progetto è la storia dei co-creatori del mondo dell’arte, persone non celebrate quanto gli artisti per cui realizzano le opere. È una storia di artigianalità e di ricerca della qualità.
Così come nel tuo precedente progetto The Eighth Veil, anche in Homo Faber ti sei concentrato sul movimento del corpo umano durante il processo di creazione. È questo il focus del tuo lavoro?
Il mondo è in movimento. Tutti noi siamo costantemente in movimento, anche quando apparentemente restiamo fermi. A differenza dei video o del film, una fotografia ferma l’istante. Ma per essere vera, una fotografia deve saper catturare il senso di movimento che resta impresso nel fotogramma. Se tu puoi sentire e vedere il movimento nelle mie fotografie, allora in una certa misura ho raggiunto il mio scopo.
Come hai lavorato negli atelier degli artigiani? Hai allestito un set o hai fotografato mantenendo un ambiente naturale?
Ho scattato queste fotografie mentre le persone erano al lavoro nei loro studi e volevo intervenire il meno possibile con l’allestimento di un set, in realtà questo era l’unico stile possibile per questo progetto. Ed è stato anche il metodo più pratico. In questo lavoro, non ho mai chiesto a nessuno di fare qualcosa, di assumere una posizione costruita. A volte mi è stato possibile lavorare a mio agio, con i miei tempi, altre volte ero meno benvenuto e allora dovuto scattare quello che ho potuto in un breve lasso di tempo.
Infine, c’era un desiderio da parte di tutti di dare lo stesso spazio a tutti gli studi coinvolti, ma questo non è stato sempre possibile in fase di costruzione della mostra.
In questo lavoro, non ho mai chiesto a nessuno di fare qualcosa, di assumere una posizione costruita.
Quale è il pubblico più interessato al progetto Homo Faber? Appassionati d’arte o visitatori comuni che desiderano capire che cosa c’è dietro l’opera d’arte e scoprono un mondo che forse non immaginavano?
Quando le foto sono state esposte la prima volta a Pietrasanta naturalmente c’era un pubblico auto-selezionato, la maggior parte di esso era legato all’arte, alla città, alla Toscana, o comunque erano persone che già sapevano qualcosa sul mondo che c’è dietro la realizzazione di un’opera d’arte.
In questo momento, invece, la mostra è a New York e qui i visitatori tendono a provenire da diversi ambienti sociali. Molti mi hanno detto di essere rimasti sorpresi quando hanno scoperto la squadra di persone che lavora per la realizzazione di una statua in bronzo o in marmo.
Tu approvi questa delega, dall’artista all’artigiano, per la realizzazione dell’opera?
Credo sia importante sottolineare che, nella stragrande maggioranza dei casi, l’artista rimane molto coinvolto nel processo di traduzione del suo lavoro in un medium diverso o in una scala diversa.
Si tratta di un processo collaborativo, in cui le decisioni estetiche sono fatte dall’artista ed il ruolo degli artigiani è eseguire, con il materiale scelto, questa visione.
Gli artigiani sono esperti nell’esecuzione, questo è il loro campo specifico, e l’artista si affida molto alle loro conoscenze e competenze. Ma senza una chiara visione artistica, l’artigiano non può creare un capolavoro. L’artigiano Sergio Benedetti mi ha detto La grandezza deve nascere prima di tutto nel bozzetto.
Grandi scultori, dai tempi di Michelangelo, hanno lavorato in simbiosi con gli studi di artigiani di Pietrasanta. Non avrebbero potuto lavorare in quel modo, su quella scala, o raggiungere gli obiettivi che avevano, senza questo legame tra artista e artigiano.
Pensi che un fotografo, oggi, possa lavorare allo stesso modo? Tu lavori con grafici, stampatori, assistenti?
Sono fortunato perché riesco, grazie alla tecnologia, a controllare in prima persona ogni parte del processo artistico. Ma questo è possibile solo perché tutte le fasi del lavoro, che prima venivano affidate ad assistenti in studio, laboratori esterni, stampatori, oggi sono in mano a piccole ed efficienti macchine.
Nonostante i mezzi, perché tu scegli di lavorare senza post-produzione, specialmente nel tuo progetto The Eight Veil? E in Homo Faber, hai lavorato molto sulle immagini dopo averle scattate?
Penso innanzitutto che sia importante separare un lavoro come The Eight Veil, che è basato interamente sull’espressione delle mie idee, dal lavoro su Pietrasanta, che è basato sul ritratto.
Ora, so che la realtà è del tutto soggettiva, ma per me la realtà è data da ciò che ho concepito o registrato.
Sono completamente a favore della post-produzione, ma solo se apporta qualcosa alla mia visione della realtà.
Nel ritratto, a volte uso le tecniche di post-produzione base. Lavoro per esempio per eliminare il rumore di fondo o per mettere in luce le caratteristiche di una persona, o gli elementi della sua pelle, che ho visto ma che in qualche modo non sono rimaste impresse nell’immagine fotografica. Spesso ho dovuto fare i conti con sorgenti luminose miste, quindi la correzione del colore e della saturazione sono operazioni necessarie dovute alla limitatezza della macchina fotografica nell’elaborare la visione naturale dell’occhio umano.
Quale è la dimensione delle stampe di Homo Faber? Perché hai scelto questa dimensione?
Sono stampe 50×70 cm, un formato che ho trovato adatto e che mi ha soddisfatto. Un formato grazie al quale ho mantenuto un senso di vicinanza e di intimità, due elementi molto importanti per me. In alcuni casi, i soggetti, gli artigiani, risultano figure relativamente piccole all’interno del loro grande ambiente di lavoro. In questi casi, stampe di un formato più piccolo li avrebbero resi invisibili, e questo non era ciò che volevo.
Homo Faber può diventare un libro o credi che la mostra sia il contenitore più adatto?
È possibile che diventi un libro. Ma di solito i ritratti di solito sono interessanti per le persone che conoscono la città in cui lavorano i soggetti, e nel caso degli artigiani di Pietrasanta questo gruppo è relativamente ristretto. Tuttavia, ho ormai un vasto archivio di immagini di scultori nei loro studi, al quale si aggiungono queste fotografie degli artigiani nei laboratori, penso che possa essere possibile costruire un buon saggio fotografico su tutto il processo creativo. Qualcosa che possa interessare un pubblico più ampio, composto non solo da amici e ammiratori, ma da tutti coloro che sono interessati al processo creativo nei laboratori d’arte.
Nel tuo lavoro, sembra che il soggetto sia sempre ciò che non si vede: il movimento del corpo, il ruolo dell’artigiano… è questo il ruolo del fotografo, e in generale dell’artista?
Sì, penso che il ruolo di ciascun artista sia presentare il mondo per come lo vede lui, che spesso è differente da come lo vede il pubblico, e spesso è composto da cose che il pubblico non vede.
Sono interessato al movimento, come ho detto prima, e la fotografia permette di catturarlo, poiché la macchina fotografica ha questa caratteristica unica di fermare i millisecondi, qualcosa che l’occhio umano non può fare, non può vedere.
Pensi che il tuo lavoro sul dietro le quinte aggiunga qualcosa al potere, all’emozione, di un’opera d’arte?
Il vero potere deriva dagli artigiani stessi, donne e uomini che hanno dedicato la loro vita alla ricerca dell’eccellenza, lavorando con materiali che possono dare effetti straordinari, e hanno raggiunto una professionalità con cui, oggi, nessun altro al mondo può competere.