George Woodman: come la nostra arte ha influito sul lavoro di Francesca
George Woodman, da anni ormai la sua famiglia passa molto tempo in Italia…
Da quarantaquattro anni abbiamo una casa in Italia, vicino Firenze, e negli ultimi anni passiamo sei mesi in Italia e sei mesi a New York. In Italia lavoro in esclusiva con la Galleria Alessandro Bagnai di Firenze.
Lei è stato pittore, sua moglie Betty artista, vostra figlia Francesca fotografa e vostro figlio Charles artista video. Adesso lei è molto concentrato sulla fotografia…
Sì. ora sono molto concentrato sulla fotografia. Sono stato pittore tutta la vita e oggi mi interessa dipingere sulla fotografia. Mi interessa giocare tra colore e bianco e nero, con questo gioco scopro nuove strade per controllare e mutare l’immagine attraverso la pittura.
Sono stato pittore tutta la vita e oggi mi interessa dipingere sulla fotografia.
Perché interviene con la pittura sulle fotografie?
Grazie alla pittura ad olio creo un legame tra il dipinto e la fotografia. Faccio capire che il bianco, il nero, il grigio, sono tutti colori. I colori della pittura ad olio sono sempre legati ai toni del bianco e nero della fotografia. Con la pittura, faccio il Photoshop con il pennello. Dipingo le foto quando voglio isolare alcuni dettagli, decido quali elementi voglio eliminare ed intervengo con il pennello. Quello che faccio è editing con la pittura ad olio. A volte ho fotografie in cui gli elementi sono dispersi, attraverso la pittura e questi tocchi di colore, unisco.
Con la pittura, faccio il Photoshop con il pennello. Dipingo le foto quando voglio isolare alcuni dettagli, decido quali elementi voglio eliminare ed intervengo con il pennello.
Preferisce lavorare con i grandi formati?
Sì, mi interessa il formato grande. Sono stampe che creo io, in camera oscura, e questo è un lavoro molto impegnativo. In realtà non parto mai sapendo in quale formato stamperò, prima realizzo i provini a contatto e poi valuto quale sarà il formato migliore.
Che tirature fa per le sue fotografie?
Sono quasi sempre pezzi unici, anche le fotografie non dipinte. A me interessa sempre il lavoro che sto realizzando oggi, non mi interessa riproporre coppe di cose fatte ieri, per questo lavoro sempre su un’immagine sola, su una stampa sola.
Non le interessa il digitale?
Ora sto lavorando ad un archivio digitale, c’è una persona che si sta occupa di questo progetto, abbiamo già raccolto quasi 1000 immagini, finiremo con più di 2000 immagini. Ma non mi interessa il digitale. Io ho imparato ad ottenere quello che voglio attraverso la stampa. Vorrei creare l’archivio digitale perché è più semplice ricercare le opere, è più facile studiarle. Questo iPad che uso per mostrarle le fotografie è un miracolo. Ma uso il digitale solo per creare un archivio, il mio metodo di lavoro è diverso.
Secondo lei cambia il modo di pensare tra analogico e digitale?
Chi lavora in digitale fa cento scatti e poi prende il meglio. Io quando ho in mente uno scatto, inizio a pensarci due giorni, tre giorni prima, penso a quale foto voglio fare. Poi la modella arriva e io faccio uno o due scatti e basta. Quando mi trovo in una stanza con una modella, ho già costruito la foto nella mia mente prima di scattare.
Chi lavora in digitale fa cento scatti e poi prende il meglio. Io quando ho in mente uno scatto, inizio a pensarci due giorni, tre giorni prima, penso a quale foto voglio fare.
Come fa a capire se ha la foto giusta se non la può vedere?
Lo capisco, capisco dove è la modella, dove è la luce. Quando è tutto pronto, prima osservo e dopo venti minuti scatto. Ottengo sempre quello che voglio.
Come mai c’è così tanto interesse per il lavoro di sua figlia Francesca Woodman negli ultimi anni?
Perché sono fotografie molto belle. L’interesse per il lavoro di Francesca è cresciuto negli ultimi anni, ci sono state mostre a Vienna, in Brasile, in settembre ci sarà un’esposizione a Londra. Sono molto contento di questo e a volte mi chiedono come la fotografia di Francesca abbia ispirato la mia fotografia.
Ma la domanda è un’altra?
Certo. La domanda è come abbiamo influito io e mia moglie Betty sul lavoro di Francesca. Francesca è cresciuta in una casa piena di artisti, a 10 anni ha iniziato a fare arte. Betty ed io siamo sempre stati interessati alla forma e Francesca ha avuto un grande occhio per la forma, a cui ha aggiunto un senso di dramma personale.
Io ho deciso di non fare mai fotografie che si possano confondere con quelle di Francesca. Per esempio, lei ha sempre lavorato su un formato piccolo, io lavoro su un formato grande. Lei ha un senso più intimo della fotografia. Lei faceva autoritratti, io non faccio mai autoritratti. Penso che siano lavori molto separati.
Le fotografie di Francesca Woodman sono state stampate nella sua camera oscura come le sue?
All’inizio tutto era stampato da Francesca. Oggi alcune le facciamo stampare in laboratorio partendo dai negativi originali. Per molte immagini di Francesca esistono solo una stampa o due, quindi quando abbiamo voluto dare la possibilità ai musei e alle istituzioni nel mondo di avere le stampe di Francesca, non abbiano dato le stampe originali. Al Guggenheim di New York abbiamo mandato le stampe originali, ma non potevamo mandarle a tutti.
La tutela dell’archivio di Francesca è un lavoro impegnativo?
Sì, molto. Stampiamo le foto, io guardo se le stampe corrispondono alle stampe originali di Francesca, se esprimono il suo lavoro e se non sono perfette si rifanno. Partiamo sempre dai negativi originali. Una persona lavora almeno due giorni alla settimana sull’archivio di Francesca. Noi come famiglia mettiamo molta attenzione al lavoro e a questo archivio. Dobbiamo dare sempre il permesso per pubblicare le sue immagini, è tutto molto controllato, soprattutto in questi anni in cui è molto cresciuta la sua presenza e l’interesse verso il suo lavoro.