Daniele Barraco Ritratto Fotografo

Daniele Barraco: ho sempre voluto entrare in mondi diversi, essere un outsider

Daniele Barraco, come è avvenuto il passaggio dalla musica alla fotografia?

Ho sempre fatto musica evocando mentalmente delle immagini. Ero in sala prove e cercavo di creare una sequenza visiva di una colonna sonora. Succedeva sia quando suonavo, sia quando ascoltavo musica. Avevo delle immagini statiche costruite in testa, dei frame che non si muovevano, qualcosa di molto vicino alla fotografia, insomma. Ho fatto musica per molti anni, ma ad un certo punto mi sono accorto di essere stanco del percorso musicale, a volte è le cose si interrompono per motivi molto semplici.

Dicevano che fossi bravo, però.

A volte non basta essere bravi, alla fine non arriva il più bravo ma arriva quello che non molla, il più tenace. All’epoca ero molto giovane, forse ero illuso da certi meccanismi, non avevo ancora il carattere che ho poi plasmato con la fotografia. Alice, la mia compagna, ha intuito che poteva esserci un talento per la fotografia.

Alla fine non arriva il più bravo ma arriva quello che non molla, il più tenace

E così hai imparato velocemente a muoverti anche in questo nuovo mondo.

Beh, ho sempre fatto ciò che apparentemente non mi competeva. Ho sempre voluto entrare in mondi diversi, essere un outsider. Dopo quarant’anni ho capito che questa cosa, che all’inizio un po’ mi preoccupava, è la mia vita, io la vivo così. Imparo molto facilmente, e allora cerco di cavalcare meglio che posso questa mia caratteristica. Era circa il 2008, eravamo all’inizio di un mondo che non sospettavamo per la fotografia, e ho iniziato a mettermi in gioco. Ho incontrato i primi photo editor, ho iniziato a prendere piccoli assegnati nel ritratto, a fare le prime letture portfolio, una cosa che reputo fondamentale, un momento dove puoi avere un feedback immediato, dove puoi entrare immediatamente in contatto con il mondo del lavoro.

Non dev’essere stato banale capire chi erano gli interlocutori.

Non è stato banale, certo. Non conoscevo nessuno. Ho comprato una Canon 5D, un 24-70 e ho iniziato a fotografare gli amici. La tecnica l’ho imparata con i primi tutor online. Ho messo insieme una serie di immagini, un portfolio, ed ho scritto alle riviste. E poi ho comprato molti libri, libri di curatori, di photo editor, libri dei grandi fotografi. Insomma, ho messo insieme gli strumenti e mi sono buttato nella mischia.

Tu hai sempre cercato il mondo “pop”, non ti sei mai chiuso nella fotografia per pochi.

Ho un carattere molto chiuso, mi sembrava interessante trovare nella fotografia una dimensione più solare, per molti, a larga diffusione, forse anche più commerciale. Mi piaceva l’idea di usare la fotografia come un pretesto per conoscere persone e levarmi di dosso questo dark interiore, questa timidezza. Sono cambiato molto da quando ho iniziato a fotografare le persone.

Mi piaceva l’idea di usare la fotografia come un pretesto per conoscere persone e levarmi di dosso questo dark interiore, questa timidezza

Con molte persone riesci a costruire rapporti duraturi.

Quando è possibile, sì. Per quanto riguarda il lavoro, arrivo e in tre minuti faccio la fotografia. Ma quando c’è la possibilità di coltivare e costruire dei rapporti, allora succedono cose straordinarie. Con Francesco De Gregori è partita male ma è finita con un rapporto straordinario. Sarebbe bello poter passare sempre del tempo insieme, passare le giornate con i soggetti e poi, solo dopo, fotografarli.

Poche settimane fa è uscito “Vero dal Vivo”, il tuo documentario sulla vita in tour di Francesco De Gregori. Con lui avevi già fatto un libro…

In realtà avevo contribuito con delle immagini al libro “Guarda che non sono io“, su De Gregori, il libro non era mio. Durante la lavorazione di quel libro, ho scoperto molte immagini dell’archivio privato di De Gregori. Questo mi ha permesso di conoscerlo anche attraverso immagini non mie, ed abbiamo instaurato un rapporto sempre più di fiducia. Vedi la funzione della fotografia?

Conta molto la fiducia?

Conta più della professionalità. Chi si affida, si deve fidare. Essere professionisti è scontato, il lavoro devi saperlo fare. Ma per costruire un rapporto, devi guadagnarti la fiducia. Di solito le cose arrivano senza premeditazione, e forse è grazie a questo che si entra in un rapporto di fiducia, quando lavoro con una persona, non ci sono mai altri fini.

Anche il documentario è nato senza pensarci troppo?

Sì, e anche questa volta è intervenuta Alice. L’estate scorsa, è stata lei a chiamare il manager di De Gregori per proporgli di fare qualche ripresa durante il tour europeo. Per lui non c’erano problemi, così siamo partiti con l’idea di raccogliere materiale video da utilizzare per un altro progetto, un contenuto extra a supporto delle fotografie. Il terzo giorno, in hotel De Gregori mi chiede: come sta venendo il film? Mi ha colto del tutto impreparato, non pensavo che ne avrei fatto un film. Ma lui mi ha detto che, a suo parere, poteva diventare un bellissimo film, ne era certo. Non sapevo neanche da dove iniziare a fare un film ma ci ho provato, e abbiamo iniziato a lavorare seriamente sul documentario.

C’è sempre bisogno di qualcuno che ti faccia visualizzare un’idea.

Sì, sempre. Qualcuno che ti aiuti a spostare l’asticella più in là, qualcuno grazie al quale vedi qualcosa che non esiste ancora. Allora, inizi a pensare alle frasi, ai discorsi, alle parole, inizi a reinterpretare le cose dette, unisci i puntini e capisci che ce la puoi fare anche se è una cosa che non hai mai fatto prima. In questi anni, ho capito che, quando mi viene lanciata una sfida, la prendo come se mi avessero fatto il dono più grande.

In questi anni, ho capito che, quando mi viene lanciata una sfida, la prendo come se mi avessero fatto il dono più grande

È un tuo metodo, quasi un marchio di fabbrica, il fatto di lavorare da solo.

Mi piace la sfida di affrontare un progetto da solo, o con Alice, insomma in un gruppo molto ristretto. Questo mi assorbe tutte le energie, è bellissimo capire come creare, costruire e finire un lavoro, Ma devo dire che non è solo un metodo, è una necessità. Spesso i budget sono ridotti, ma la mancanza di mezzi o di denaro non ha mai fermato la mia voglia di fare e costruire un nuovo progetto. Per quanto riguarda “Vero dal Vivo”, aver filmato in maniera molto asciutta ha aiutato a non far percepire la nostra presenza, a mostrare la verità di un tour, i tempi morti, le pause, le risate senza motivo, la quotidianità della persona prima che dell’artista.

Quali sono state le indicazioni all’inizio del lavoro?

Siamo stati lasciati completamente liberi di realizzarlo come volevamo.

E questo non ti ha preoccupato un po’?

Non ho mai avuto nulla da perdere, per questo mi sono sempre spinto un pochino oltre. Sono libero di poter fare quello che voglio, almeno per ora. Sono libero di scegliere con chi lavorare, fare le cose che mi piacciono, penso che tutt’al più rischio di tornare al punto di partenza. Questo significa non avere nulla da perdere. Inoltre, se ammiro chi ho davanti, lavoro meglio, perché ho sempre qualcosa da imparare. Se davanti ho qualcuno senza carisma, che non mi trasmette nulla, allora non mi diverto.

Il merito di una bella foto è del fotografo?

Ecco, io anche se lavoro molto in solitaria, cerco di far capire al cliente che l’intuizione è giusta, io semplicemente la metto in bella copia. Il merito è di tutti, del cliente, del fotografo, in tandem. Di solito costruiamo insieme, mi piace molto lo scambio. Durante questo documentario per De Gregori ho la libertà totale, e ho avuto una sensazione che con la fotografia non avevo mai avuto. Nel documentario, ho mescolato la fotografia, la musica, le immagini, una persona di cui avevo grande stima. E mi sono ritrovato a proteggere il lavoro in modo del tutto diverso.

Mi piacciono queste due anime del lavoro, il commissionato e la libertà totale, e credo che possano coesistere tranquillamente

Insomma, il lavoro è stato più tuo.

Se un cliente mi chiede di scurire un’immagine, non mi impunto. Ma, durante questo documentario, se Alice mi dava un suggerimento durante il montaggio, io ero estremamente protettivo verso il lavoro. Questa sensazione di libertà totale era qualcosa di totalmente intimo. Mi piacciono queste due anime del lavoro, il commissionato e la libertà totale, e credo che possano coesistere tranquillamente, senza pensarci troppo.

Stiamo cercando di dare una spiegazione e cose che semplicemente succedono.

Già, sono cose che ti trovi davanti e cerchi di capire come decodificarle, cerchi di capire come comportarti di volta in volta. Mi accorgo ogni giorno che questo fatto di non aver nulla da perdere, è un approccio che ti può davvero portare lontano.

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